La scrittura Maya

I Maya elaborarono un metodo di scrittura geroglifica (glifi) e registrarono la storia, la mitologia e i riti in iscrizioni scolpite e dipinte su lastre di pietra o colonne, architravi, scalinate, o altri monumenti.

Venivano inoltre scritti libri di carta ripiegata ottenuta dalle fibre di agave, contenenti informazioni di agricoltura, clima, medicina, caccia e astronomia, libri che vennero distrutti dall’idiozia di padre Diego de Landa che li bruciò in un gigantesco falò in una piazza a  Mèrida, in quanto erano eretici e quindi scritti dalla mano del diavolo.

La storia, la cultura, la tradizione di un popolo viene in tal modo distrutta. Restano soltanto quattro codici Maya, tre scoperti in Europa, dove con tutta probabilità  erano stati spediti da monaci o soldati al momento della conquista, e uno nello stato messicano di Chiapas.

I codici Maya sono dei “manoscritti” della cultura Maya di origine precolombiana, cioè prima della conquista dell’America da parte degli europei, nella cui scrittura venivano utilizzati glifi che vengono interpretati ancora oggi. I codici sono stati nominati prendendo come riferimento la città in cui si trovano:

il Codice di Dresda, è conservato presso la biblioteca universitaria del land di Sassonia, a Dresda in Germania, il codice venne riscoperto nella città di Dresda, da cui prende il nome, originariamente scritto dalla popolazione Maya nella loro lingua. È un manoscritto risalente al XIII o al XIV secolo ed è considerato il codice superstite più antico proveniente dalle Americhe, (sicuramente il più bello e complesso) comprende 70 pagine (cm.350X20X9), parla delle eclissi, della rivoluzione sinodica di Venere, di riti religiosi e di pratiche divinatorie.

Durante la seconda guerra mondiale il manoscritto ha subito numerosi e gravi danni dovuti alle infiltrazioni di acqua e durante i restauri alcune pagine vennero ricomposte in modo non corretto. Le pagine sono alte 20 cm e possono essere ripiegate tipo fisarmonica; se spiegate, il codice è lungo 3,7 metri. Esso è ricco di geroglifici maya in cui ci si riferisce a un precedente testo originale redatto circa tre o quattrocento anni prima, in cui si descriveva la storia locale.

il Codice di Madrid (Codice Tro-Cortesianus); un manoscritto in lingua maya, risalente al periodo preispanico, è attualmente conservato presso il Museo de América a Madrid. È formato da 112 pagine, 56 fogli totali, il documento descrive il Tzolkin, o ciclo di 260 giorni, espone complessi calcoli matematici, descrive equazioni astronomiche basate sui cicli lunari e sulle eclissi di Venere, descrive come devono essere organizzate le attività quotidiane del popolo, come la caccia, l’agricoltura e la lavorazione del legno, in relazione ai periodi dell’anno.

È interessante notare le forti implicazioni religiose e magiche di questo codice, i protagonisti delle scene sono quasi sempre raffigurati come numerosi gruppi di persone accompagnate da divinità e entità soprannaturali (Itzamná, Sak Chel, Chak, Ahaw, K’in).

Si ritiene che il codice provenga dall’antica città di Tayasal, l’odierna Flores, nel nord del Guatemala, l’ultima città Maya conquistata nel 1697, probabilmente è stato Hernán Cortés a portare le due parti del codice in Europa per donarle alla corte spagnola.

il Codice di Parigi (Codex Peresianus) è lungo circa cm. 145 e presenta soltanto 22 pagine, diviso in due parti, risale probabilmente al XV secolo) il suo cattivo stato lo fa sembrare incompleto, anche questo è un’opera di consultazione per i preti indovini.

Le profezie di questo manoscritto potrebbero essere di carattere storico, poichè nella concezione dei Maya, gli avvenimenti futuri non erano che delle proiezioni del passato, cioè ripetizioni inevitabili. Nella seconda parte tratta della divinità  di Katun (7.200 giorni pari a due decenni) e del tun (anno), delle cerimonie legate alla successione di alcuni Katun.

Dal punto di vista dello stile si ricollega ai rilievi di Quiriguà  e di Piedras Negras.   

Il Codice Grolier (Codice Maya del Messico) un manoscritto in lingua Maya, risalente al periodo preispanico. È realizzato con carta ricavata dalle fibre del legno di Ficus cotonifolia ricoperta di calce e colorato. Ha una altezza di 19 cm circa ed una lunghezza complessiva di 125 cm. Attualmente è conservato presso la Seccion de Arqueologia del Museo Nacional de Antropologia di Città del Messico.

Il codice è stato ritrovato negli anni sessanta del Novecento in una grotta dello stato messicano di Chiapas. Fu acquistato nel 1965 da un collezionista messicano e venne esposto per la prima volta nel 1971 al Grolier Club di New York, da cui il codice prese il proprio nome.

Inizialmente si pensava che questo manoscritto di sole undici pagine fosse un falso, poiché conteneva solo simboli numerici; ben presto si è potuto dimostrare che la carta risaliva al periodo postclassico medio e che, come il codice di Dresda, conteneva un calendario di Venere, il che dissipò ogni dubbio sulla autenticità. Nel 2016 uno studio della Università Brown, condotto da Stephen Houston, ha confermato l’autenticità storica del libro, grazie anche alla prova di datazione al radiocarbonio (carbonio-14) effettuata sulla carta.

Questi testi, in lingua Maya, sono stati interpretati solo parzialmente e ci forniscono solo delle indicazioni interessanti sulla scienza astronomica e sul rituale di questo popolo.

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